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LEGNANO: Quante badanti straniere in città?

Written by on July 26, 2009

In città e nell’Altomilanese è in rapido aumento il numero delle “assistenti familiari”. Molte sono irregolari, ma ormai sono diventate punti di riferimento essenziali per tanti anziani e le rispettive famiglie. Come contrastare il lavoro nero e favorire l’integrazione.

 

La presenza di assistenti familiari (le cosiddette “badanti”) si è ormai consolidata anche nel legnanese (come in tutta la regione Lombardia e in particolare nella provincia di Milano). Le assistenti familiari sono, dopo la famiglia, la risorsa di gran lunga più utilizzata dalla popolazione anziana in condizioni di non autosufficienza. I motivi di questa crescita sono ormai noti: una montante domanda di assistenza, risorse familiari sempre più ridotte e un intervento pubblico limitato nel rispondere alle situazioni di maggiore fragilità e disagio.

Ma quante sono le badanti presenti nella nostra zona? Non è semplice rispondere. Intanto perché una parte consistente è impiegata senza un contratto di lavoro; poi perché la parte regolarmente occupata è inclusa nella categoria più ampia dei lavoratori domestici, cioè le colf. La presenza di una larga quota di lavoro sommerso pone pertanto la necessità di aggiungere al numero dei contratti di lavoro in essere una stima del lavoro nero. Lo ha fatto l’Irs (Istituto per la ricerca sociale), che ha condotto delle ricerche raccogliendo un vasto numero di notizie, testimonianze, segnalazioni. La stima che Irs propone ci dice che nella nostra provincia operano complessivamente circa 67.000 assistenti familiari, in gran parte straniere (nove su dieci), di cui circa 3.000 nel distretto di Legnano. A seconda del grado di formalizzazione e di regolarizzazione della loro presenza, esse appartengono a tre gruppi diversi. Il primo gruppo è composto dalle irregolari (perché entrate clandestinamente o perché i documenti con cui sono entrate sono scaduti): è una categoria invisibile tra gli invisibili, non avendo alcuna prospettiva di formazione, sviluppo professionale, connessione con i servizi pubblici. Questa quota è molto elevata: la stima è del 41% sul totale delle badanti.

Il secondo gruppo comprende chi ha il permesso di soggiorno ma lavora in nero: a differenza del gruppo precedente, ha delle possibilità di integrazione sociale e lavorativa, può accedere a corsi di formazione, albo, sportelli, anche se la condizione di chi vi appartiene è spesso precaria. La stima dell’Irs colloca questo gruppo di assistenti familiari intorno al 21% sul totale. Infine il terzo gruppo comprende chi ha un contratto regolare di lavoro: è naturalmente quello che ha più possibilità di integrarsi nel tessuto socio-lavorativo del nostro paese, la sua posizione è più tutelata e più collegabile con le risorse di welfare. La percentuale stimata di questo terzo gruppo è del 38%. 

Gli anziani ultra 65enni seguiti da una badante sono più dell’8 per cento, secondo un’ipotesi molto prudenziale di un rapporto uno a uno, e sono ancora di più se consideriamo che una parte delle assistenti familiari abbia più clienti. Anche secondo la più cauta tra le ipotesi, si tratta comunque di più del triplo degli ultra 65enni ospitati in strutture residenziali e ancora di più rispetto ai servizi domiciliari. Confronti che danno una misura della rilevanza del fenomeno, divenuto una componente stabile dei processi migratori che interessano il nostro paese, tanto che “si consolida la convinzione che la società italiana non potrebbe più fare a meno degli immigrati, soprattutto in alcuni ambiti, come quello della cura e dell’assistenza agli anziani” (Fondazione Ismu, 2008).

Negli anni più recenti non solo il numero di assistenti familiari continua a crescere, seppure a ritmi meno veloci rispetto agli anni Novanta, ma si registra una sorta di ricambio continuo della loro presenza. Le ricerche dell’Irs, confermate da diverse testimonianze, continuano a segnalare nuovi arrivi che in parte si aggiungono ai gruppi già presenti, in parte sostituiscono chi ritorna nel paese d’origine o chi si dedica a un altro lavoro.

Le “nuove” assistenti familiari straniere sono quelle arrivate in Italia negli ultimi tre anni e mostrano caratteri nuovi e nuove possibili tendenze future. Esse infatti sono mediamente più giovani  di quelle arrivate nel decennio precedente, lavorano molto più in nero, sono più orientate al lavoro a ore anziché alla coresidenza. Giovani, irregolari, meno segregate: potrebbe essere questo, in estrema sintesi, il profilo della nuova badante. Tra le nuove arrivate aumenta chi vuole insediarsi in modo stabile nella società italiana, ma si riduce la volontà di fare la badante a lungo.

Chi è giunto di recente in Italia lavora meno in regime di coresidenza, soprattutto le badanti sudamericane (un gruppo particolarmente numeroso nel Milanese), di cui solo metà sono in questa condizione. Una tendenza che si rafforza in virtù delle risorse di relazione che dispongono le donne insediatesi più di recente. La montante propensione al lavoro a ore è anche legata alla retribuzione analoga o addirittura superiore rispetto alla coresidenza. La diminuzione della disponibilità ad una assistenza sulle 24 ore rischia di lasciare scoperte quote sempre maggiori di bisogno, perché la maggior parte delle richieste che giungono dalle famiglie ai diversi servizi riguardano un’assistenza giorno e notte.

Fare emergere il lavoro privato di cura, sostenerlo, qualificarlo, sono obiettivi non facili. L’irregolarità del mercato sommerso prospera, in una fitta rete di reciproche convenienze. Quello irregolare è un mercato dequalificato, aleatorio, a rischio di sfruttamento, fatto di tante solitudini che si incontrano; un mercato in cui raramente ciò di cui c’è bisogno corrisponde a ciò che si offre. Da qui infiniti problemi, conflitti tra famiglie e badanti, che non di rado sfociano in vertenze legali. Disinformazione, disorientamento, incertezza dei rapporti di lavoro, scarsa corrispondenza tra domanda e offerta, dinamiche di segregazione domestica; per superare queste diverse criticità occorre coordinare soggetti e interventi diversi, che devono sostenersi a vicenda: servizi sociali, centri per l’impiego, sportelli badanti. Questi ultimi, in particolare, possono diventare uno strumento prezioso per connettere le esigenze delle famiglie, da un lato, e delle donne immigrate, dall’altro.

Azioni isolate servono a poco o a nulla: lo sforzo deve essere quello di mettere “a sistema” i sostegni alle famiglie (informativi, assistenziali, economici) con quelli alle assistenti familiari (formativi e di qualificazione delle competenze). È in questa direzione che si stanno orientando le azioni previste dal Piano di Zona legnanese.

[Fonte: Polis Legnano]

 

 


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