Lusaka-Londra su una Bici in Bamboo 3a Settimana
Written by Roberto on July 24, 2012
E sempre emoziante vivere anche se solo leggendole le avventure di Matteo Sametti in viaggio dallo Zambia fino a Londra in sella a una speciale bicicletta in bamboo assemblata a mano da un team specializzato Zambiano.
Quindicesima tappa
Iringa S 7°77.00’ E 35°69.00’ – Mtera Dam S 7° 13.66’ E 35°98.77’ 122 km
Ho le braccia di Mastrolindo, ma non il suo profumo. In questa tappa le braccia sono state messe a dura prova! La strada, a parte i primi 15 km, ha tutto quello che un ciclista non vorrebbe trovare, un’orgia confusa di sabbia, pietre, terra bagnata che si annida tra parafango e ruota, ‘onde cementificate’ procurate da mezzi cingolati, pezzi di roccia che emergono sul manto stradale, deviazioni e contro deviazioni per evitare la strada che i cinesi stanno costruendo fino a Dodoma la capitale politica della Tanzania. La strada tendeva a scendere, e il dover frenare per scendere a 20 km/h dove si sarebbe potuto scendere a velocità tripla rendeva il tutto più frustrante.
Sulla strada ho incontrato un miscuglio eterogeneo di persone, cinesi, Masai e tanzaniani che parlavano un po’ di italiano. Con i Masai e i cinesi i problemi di comunicazione sono gli stessi, entrambi non parlano inglese, l’unica differenza è che i Masai sono più simpatici, oltre che più alti, neri ed eleganti. Le Masai che ho incontrato oggi vestivano con tonalità di blu e viola, collane bianche e gialle, con sandali bianchi e le orecchie con dei grandi buchi ma senza orecchini. Verso sera la strada è stata più volte invasa da mandrie custodite da uomini Masai, vestiti col classico vestito rosso, bastone e pugnale, ma molto lontani dal Masai stereotipato che si trova negli alberghi per musungu. Una famiglia con quattro generazioni di donne voleva portarmi a pranzare al loro villaggio, non hanno voluto che le fotografassi perchè nella macchina fotografica c’è qualcosa di magico! La più anziana aveva proprio una faccina da strega buona. Chi parla italiano l’ha imparato dai missionari, non sanno l’inglese ma conoscono la geografia italiana …
Più o meno dal centesimo chilometro a dieci dalla fine sono stato accompagnato da Ali, musulmano che mi ha detto di non preoccuparmi perchè nostro padre Adamo è lo stesso per noi e per loro, prima di congedarci mi ha indicato la luce lontana della diga di Mtera, costruita dagli italiani negli anni settanta, e mi ha detto ‘God Bless’, Dio ti benedica, senza specificare di quale Dio si trattasse. E’ bello procedere con qualcuno, e avere una luce da seguire
Sedicesima tappa
Mtera Dam S 7° 13.66’ E 35°98.77’ – Dodoma S 6° 17.30’ E 35° 74.19’ 136 km
Ho sempre pensato all’augurio ‘Buon viaggio’, ‘Mwende bwino’ in Zambia e ‘Safari Njema’ in Tanzania, come un eccesso di cortesia o qualcosa detto per abitudine, che lascia un po’ il tempo che trova, da qualche giorno sto cambiando idea …
Se i pulmann non fanno questa strada da Iringa a Dodoma e passano da Morogoro, allungando di 232 km, un motivo ci sarà pure! Oggi volevo arrivare a Dodoma, quindi sveglia prestissimo colazione a base di biscotti all’avena e una frittata di quattro uova e verdure e via! Delle quattro strade principali che portano a Dodoma, tre sono sterrate, non so quante altre capitali al mondo sono in questa situazione.
Per lunghi tratti non ho incontrato ne persone, ne veicoli e nemmeno animali sebbene ci fossero delle acacie perfette per le giraffe, verso la fine qualche mezzo a motore l’ho incrociato e anche pochissimi pulmann diretti a Iringa. Si tratta di pulmann terminali, nati prima di me, che possono morire insieme ai loro passeggeri da un momento all’altro, caricati così tanto da sembrare quadrati, quando mi passano vicino ho paura che qualcosa mi cada in testa.
A circa 25 km dall’arrivo un gruppo numeroso di ragazzi e bambini mi è corso dietro danzando e cantando con un entusiasmo mai visto fino ad ora in Tanzania, questo insieme a una telefonata da Chaniana in Zambia dove gli atleti della Never Give Up mi incoraggiavano in coro, mi ha dato la carica per finire la tappa in bellezza.
Ho un dubbio non è che i cinesi mi stanno mettendo i bastoni tra le ruote perchè non andai a Pechino in bici?
Diciasettesima tappa
Dodoma S 6° 17.30’ E 35° 74.19’ – Haneti S 5° 48.616’ E 35° 84.708’ 88km
Lo sterrato inizia subito dopo l’aeroporto di Dodoma, la strada è anche peggio di quella di ieri, i cinesi stanno costruendo anche qui ma sono molto più indietro con i lavori, per un primo tratto non ci sono alberi, quindi niente ombra, però ci sono tantissime pietre … dopo si entra in una foresta e si iniza a salire, le persone e le macchine spariscono. Un animale simile ad una donnola prima e un’antilope dopo mi attraversano la strada, sono i primi animali selvaggi che avvisto, scimmie a parte che ho visto in Zambia, Malawi e Tanzania. Una lunga ed improvvisa discesa mi porta ad Haneti che è ancora chiaro, decido di fermarmi e provare a fare più chilometri domani. Alla scuola non c’è anima viva. Trovo una dignitosa guest house senza luce e acqua, con la solita zanzariera blu e le lampade a olio. Mentre mi lavo le mani un ragazzo con la maglia dell’Inter mi saluta, parliamo di calcio e di Milano, quando capisce che sono italiano, mi dice che a 50 metri c’è un posto dove si può vedere la partita! Al ristorante conosco Adam, il poliziotto del villaggio, e due suoi amici, uno dei quali naviga col telefonino su intenet alla ricerca di statistiche sui protagonisti della finale. Niente male per essere in un posto lontano da tutto e senza elettricità! In attesa della partita inganniamo il tempo parlando di Africa, stipendi dei poliziotti che sono più bassi che in Zambia, e di Super Mario di cui imitano la posa da culturista dopo il goal alla Germania.
Adam ci porta al posto dove trasmettono la partita con la sua auto, ci mettiamo di più a salire e scendere dalla vecchia Nissan che a coprire la distanza che ci separa dal piccolo cinematografo di Haneti. C’è molta gente intorno alla casa, fuori c’è il generatore a benzina, speriamo ce ne sia abbastanza anche in caso di supplemantari penso. Varcata la porta d’ingresso mi rendo conto che nella ‘sala’ non c’è il tetto, tra le panche per gli adulti e la televisione da 21 pollici trovano posto seduti una quarantina di bambini e ragazzi, si pagano 1000 shellini, si discute di formazioni e per l’Italia i nomi più citati sono Balotelli, Cassano, Di Natale e Diamanti. Al calcio d’inizio ci saranno più di 100 persone, fa freddo, e la luna quasi piena permette di vedere in faccia chi ti sta vicino. Parlano anche di me, del musungu. Mi sorprende che tutti sanno i nomi di tutti i calciatori. Adam mi ha detto che qui sono in prevalenza musulmani, a vedere la partita ci sono fedeli di Allah che si scaldano con le coperte colorate dei Masai e i cristiani con croci e cappelli di lana. Quando Balotelli tocca la palla o solo fa un movimento per smarcarsi ci sono urla di consenso da parte di chi tifa Italia e gridolini di paura per chi tifa Spagna. Mi lascio sfuggire un ‘fanculo’ ad alta voce quando l’Italia spreca un’occasione propizia, il mio vicino mi chiede subito cosa vuol dire … Lo sport, e il calcio che è il più seguito al mondo, ha un linguaggio universale pur parlando lingue diverse ci intendiamo quando commentiamo un’azione. La partita sappiamo come è andata, ma resta per me una grande serata dove lo sport è stato vissuto col giusto approccio, e dove Balotelli, protagonista di questa nuova Italia multiculturale, è diventato l’ambasciatore d’Italia in Africa.
Diciottesima tappa
Haneti S 5° 48.616’ E 35° 84.708’ – Kondoa S 4° 90.381’ E 35° 77.693’ 81 km
Da Iringa a Dodoma la strada è brutta, da Dodoma è quasi impraticabile, si passa da zone con pietre incastonate nel terreno ad altre dove sembra di essere in bici su una spiaggia bianca della Sardegna, su una di queste oggi ho incontrato un bel serpentello che attraversava la strada, ma eravamo troppo presi dalle nostre faccende per spaventarci reciprocamente, a me faceva invidia il suo muoversi agile, come se galleggiasse sulla sabbia mentre io sprofondavo soprattutto dietro dove c’è tutto il peso delle borse. Questa tappa avrebbe dovuto portarmi almeno a Kolo, mi sono dovuto fermare a Kondoa a causa di alcuni incovenienti tecnici che la strada impervia ha accentuato. Sono un po’ preoccupato perchè sto perdendo un sacco di tempo su questa strada che dovrò recuperare sull’asfalto.
Mentre compravo biscotti e acqua, la mia attenzione è stata attirata da grida ritmate ‘oohh oohh’ da uomini, simili a quelle dei rematori sulle galere. Sul lato opposto della strada, c’era uno spiazzo rettangolare grosso più o meno come un campo da pallacanestro, con in mezzo una montagnetta di un cereale, penso sorgo. Degli uomini con in mano dei rami molto flessibili alti un paio di metri battevano i cereali per separare la parte commestibile dallo scarto. Avanzando piano piano, e gridando forte forte ‘oohh oohh … oohh oohh’ … . Hanno volute provassi, il metodo sarà un po’ primitivo ma assicuro che è molto divertente, un tipo di kendo rurale.
Quando sono tornato alla bici, ho visto la ruota davanti un po’ a terra, l’ho pompata, è durata altri 5 chilometri. Stacco il filo del freno, rimuovo la ruota dalla bici, rimuovo copertone, camera d’aria bucata e spina piccolissima di acacia che ha cuasato la foratura. Metto la nuova camera d’aria, rimetto copertone, pompo … cazz … il pirulino delle camera d’aria che Serena mi ha comprato in Italia non è compatibile con la mia pompa cinese … ho incontrato 6 o 7 macchine in 60 chilometri, non c’è anima viva … trovo una pompetta piccolissima comprata a Lusaka che non funziona … rimuovo l’adattatore … lo metto sulla pompa cinese … funziona! … ma la pompa cinese si rompe in due … e si rompe anche il pirulino della camera d’aria … sono le tre del pomeriggio, non c’è anima viva, sono pieno di camere d’aria ma senza pompa … fa caldo … quando mi sembra di sentire una moto venire su per la salita … faccio il gesto della pompa piegandomi sulle ginocchia … mi sembra un musungu … sarebbe il primo da quando è iniziato il fuori pista … no sarà un albino … è proprio un musungu di Londra con la compagna tanzaniana … ha l’età giusta per essere cresciuto con Mc Giver … ‘You have been very lucky to meet me in this fucking place!’ … ‘in Africa nothing is fucking rubbish, keep everything with you’ … ‘why are you going to London there is a fucking crisis there’ … queste sono alcune delle fucking frasi che mi ricordo … poi estrae da uno zaino di 40 litri una pompa Indiana che aziona premendo con un piede e tirando una cordicella … la ruota è a posto … foto con la bamboo bike … e la giornata è finita mi trascino a Kondoa … c’è solo il tempo per delle foto ai dei baobab imponenti.
Diciannovesima tappa
Kondoa S 4° 90.381’ E 35° 77.693’ – Babati S 4° 21.666’ E 35° 75.050’ 120 km
Sto pedalando da circa 20 km su questa strada con la dermatite, è piena di pietre incastonate nel terreno, dove cerco sollievo ai lati della strada dove la situazione è leggermente migliore, 40 metri davanti un uomo anziano, musulmano direi a giudicare dal copricapo, si piega, raccoglie una pietra davanti a me, e la butta via nel terreno di fianco alla strada, per rendermi più agevole la pedalata. Quando ci incrociamo mi sorride e mi dice safari njema, fai buon viaggio. Dopo più o meno 500 km di strada impossibile un gesto così è difficile da dimenticare …
Intanto il cambio è sempre più automatico, decide lui quando cambiare e quando non cambiare, soprattutto in salita quando uso i rapportini.
Da Kondoa si sale a lungo per poi scendere a Babati in picchiata tra le banane, negli ultimi 40 km verso Babati sembra di essere in un microclima diverso, ci sono tanti torrentelli e fiumi, la vegetazione è verde smeraldo e le banane dominano il paesaggio.
Poco prima di Babati su una salitella il cambio si accartoccia ancora all’insù. La bici si blocca tanto che il contracolpo mi fa sobbalzare prima in avanti e poi indietro. Il pezzo sostituito in Malawi è durato mille chilometri! Il cambio posteriore a forma di esse dove la catena scorre tra le due coroncine è storto. Penso non si sia rotto come l’altro perchè questo, sebbene di qualità inferiore è tutto di metallo, mentre l’altro aveva dei pezzi di plastica. Non passa nessuno. Inizio a lavorarci per successive approssimazioni, ma il risultato non è un granchè.
Mentre sono lì che mi arrovello sotto il sole, da una scorciatoia escono due donne alte e molto eleganti, che mi chiedono se va tutto bene, ho rotto il cambio dico, parliamo a gesti, mi dicono che devo mangiare … forse apparivo un po’ stravolto … una delle due mi mostra un sacchetto di plastica con dentro una specie di crema gialla e mi dice di prenderne un po’ … che sia miele? … faccio il verso delle api ‘bzzz bzzz bzzz’ simulando il volo delle api con la mano … loro fanno si con la testa … mostro le mie mani che sono più nere delle sue … e faccio segno che non le posso infilare nel sachetto … la donna che ha in mano il sacchetto mi imbocca … è un miele dolce molto grezzo con anche dei pezzi di cera che mi fa capire che non sono solo … la dolcezza dei tanzaniani è inversamente proporzionale alla durezza delle strade.
Rimetto tutto nelle borse, e decido di ripartire pedalando dove posso, camminando o facendo il ‘monopattino’ dove i rapporti che ho a disposizione non mi permettono di pedalare.
In un pezzo in salita dove cammino sento il rumore di un camion che scala le marce per salire, si ferma, facciamo un ultimo sforzo per caricare la bici, dato che il camion che trasporta mais ha l’accesso al cassone posteriore posto molto in alto, l’autista e il suo aiutante stanno andando ad Arusha, sono molto gentili e, barriere linguistiche a parte, hanno molta voglia di parlare con me e l’aiutante mi lascia il posto davanti di fianco al conducente e si accomoda dietro di noi dove c’è il lettino. A Babati un meccanico che fa manuntenzione a moto e biciclette, mi consiglia di andare ad Arusha. Ripartiamo per Arusha e mi addormento cullato da radio Imam e musica araba, vengo svegliato dall’autista che mi fa parlare in inglese con le sue tre figlie, è orgoglioso che loro parlino già inglese alle elementari. Mi spiega che questo è possible solo perchè vanno in una scuola privata, purtroppo in quelle statali si inizia a studiare inglese solo alle superiori.
Ventesima tappa
Arusha S 3° 36.578’ E 36° 67.445’ – Namanga S 2° 55.209’ E 36° 78.389’ 115 km
Ho imparato che è meglio attraversare i confine alla sera c’è meno gente ci si mette meno e il giorno dopo sei pronto per ripartire direttamente per la nuova destinazione. Da Namanga ci passai nel lontano 1998 quando scalai il Kilimanjaro, che oggi speravo di vedere in lontananza ma non l’ho visto il cielo era coperto, ma non sono sicuro si possa vedere da dove sono passato.
Il garzone dell’albergo mi porta in un negozio gestito da un vecchio indiano tanzaniano, molti inidani arrivarono qui con gli inglesi nell’epoca coloniale, fuori c’è un capo gruppo composto da una specie di addetto al customer care, un gruppo di fly catchers, letteralmente cacciatore di mosche, ossia ragazzi che non hanno niente da fare e assecondano le scelte del capo e dicono frasi del tipo ‘adesso facciamo un lavoro fantastico!’, ‘la bici sarà come nuova’, ‘questo ricambio è perfetto’ … infine c’è il fundi il meccanico che è l’unico che lavora. Questa è la formazione tipo per fare business col musungu.
L’inizio è promettente viene individuato un cambio simile su di una bici di secondamano appena arrivata dall’Europa, il fundi, meccanico, sembra in gamba anche se un po’ grezzo, sostituisce il cambio del Malawi con quello usato, tutto sembra funzionare bene … chiedo se mi può pulire le corone dietro … rimuove la ruota, la pulisce, la rimette e … non funziona più un cazzo! Dopo un po’ di proposte avventate … tra cui ‘accorciare la catena’ … suggerimenti del tipo ‘basta che usi solo questi tre rapporti in mezzo e non succede niente’ decidiamo di rimettere il mio cambio dopo averlo raddrizzato a martellate …
A questo punto subentra un secondo fundi, che parla poco non ascolta la combriccola dei cacciatori di mosche, e in mezz’ora sistema il cambio in maniera accettabile, resta una vibrazione forte che si sente sotto la sella che sento dalla fine della tappa di Dodoma, glielo faccio presente e lui, come quegli studenti un po’ timidi che quando sono interrogati in matematica rispondono scrivendo sulla lavagna senza parlare, inizia a smontare la ruota dietro estrae il mozzo dal ‘coprimozzo’ … e sopresa è spezzato in due … terreno a parte nelle ultime tre tappe mi sembrava di non spingere come al solito … effetto collaterale della sostituzione del mozzo è che adesso se buco devo smontare la ruota con la chiave inglese … ma sono contento che il problema è stato risolto!
Arriviamo al conto di 150,000 tanzanian shillings, 100 dollari! … voglio ripartire … gli spiego che non è giusto sparare prezzi così perchè sono bianco … faccio un po’ di sceneggiata napoletana … poi mi rompo ed entro dall’indiano e gli chiedo il prezzo dei ricambi … 30,000 … lo pago … poi lascio 15,000 al capo gruppo che fa l’offeso, ma gli operai che lavorano con i cinesi per le strade prendono di meno per una giornata di lavoro … riassumendo da 150,000 a 45,000 … in Malawi dove tutti negozi erano gestiti da locali non ebbi questi problemi … inoltre la vicinanza con i turisti non aiuta … e alcuni sono un invito alla rapina … per come si abbindano ne segnalo due … il primo visto al mercato sui quarantanni vestito come uno scout cresciutello con cappello da ‘Marathon des Sables’, scarponi da montagna, e camel bag, una sacca per l’acqua che si mette sulla schiena con cannuccia che esce sul petto per succhiare l’acqua, quando ad Arusha puoi comprare un’ottima acqua sigillata ogni 10 metri … il secondo visto stasera con cappello simile a quello di Livingstone, o di un vigile urbano Milanese … avvolto da una zanzariera che scendeva fino sulle spalle …
Ventunesima tappa
Namanga S 2° 55.209’ E 36° 78.389’ – Nairobi S 1° 29.206’ E 36°82.194’ 161 km
Volevo svegliarmi presto, ma non così presto! La prolungata chiamata alla preghiera del muezzin alle 5 del mattino, amplificata da casse piuttosto potenti, proveniente da una moschea vicina al River Camp Lodge mi ha rovinato l’ultima ora di sonno.
Prima di partire ho prelevato in una banca posta quasi sulla linea di confine, poi ho comprato una sim per il telefono. Il cellulare ha cambiato il modo di comunicare in Africa, è accessibile a tutti e ho visto Masai con il portacellulare di fianco al coltello … inoltre vanno anche in moto quasi sempre con una mano sola perchè, a causa del vento, con l’altra devono tenere fermo il vestito …
Ad una trentina di chilometri da Nairobi la Namanga road, da cui io provenivo, confluisce nella Mombasa road, una superstrada a due corsie. Ho chiesto ad un autista col camion in panne se potevo entrare e mi ha detto ‘no problem’. L’entrata è come quella delle nostre autostrade. Le regole di circolazione un po’ diverse. Ci sono persone che attraversano di corsa, come tanti frogger. Si può sorpassare dove si vuole. Un pulmino si può fermare nella corsia di emergenza, dove io procedevo con tutti i sensi allertati al massimo, a caricare e scaricare le persone, le persone che uscivano dalle fabbriche. Ho avuto la certezza che potevo passare di lì quando un poliziotto mi ha salutato tutto contento, col pollice verso l’alto in segno di approvazione . Questa sera il mio angelo custode si chiamava Ernest, uno dei 5 ciclisti che ho visto sulla ‘superstrada’, abbiamo fatto insieme gli ultimi quaranta minuti, parlato poco perchè la situazione non lo permetteva, mi ha chiesto se andavo a Londra come atleta …